Attacchi di Panico in Alta Quota: Perchè? - Dr Gaspare Costa - 340/7852422 - Psicologo - Psicoterapeuta

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Attacco di Panico in alta quota e con l’aumento della temperatura nella stagione estiva: patogenesi a confronto delle due situazioni.

a cura della Dr.ssa Fatma Yümlü* e del Dr. Gaspare Costa

Una visione integrata che va dalla comprensione del sintomo all’importanza di un sostegno educativo per la prevenzione e la cura dei disturbi ad esso associati.

È ormai noto attraverso svariati studi provenienti dai diversi ambiti della comunità scientifica una relazione abbastanza frequente seppur controversa tra gli attacchi di panico e il ruolo dell’attività ventilatoria. Premettendo che un singolo evento di panico non significhi necessariamente avere un disturbo di panico come spesso si crede nell’immaginario comune, esso può manifestarsi in ogni caso per cause e con modalità comportamentali differenti. Secondo il manuale diagnostico in voga infatti perché ad esempio si parli di un disturbo che abbia una certa rilevanza clinica debbono esser soddisfatti specifici criteri. Inoltre una stessa persona può avvertire nel corso della vita diversi tipi di attacchi di panico con sintomi che variano da un attacco a un altro.

Parlare di panico quindi presuppone, come per il resto degli argomenti psicologici e scientifici in generale, innanzitutto una fondata conoscenza di base del fenomeno e saper coniugare un’apertura alla continua ricerca interdisciplinare seppur con la consapevolezza, alla luce delle infinite variabili di questo sistema complesso, dei limiti che si hanno nell’affrontare vicende inerenti alle condizioni umane. In questo contesto nello specifico si parte dall’assunzione, e studi scientifici al riguardo lo provano, che spesso assieme a una crisi di panico si nota un’alterata attività respiratoria che alimentandosi a vicenda procurano uno stato d’allarme non indifferente. Come si accennava, non è raro che spesso il primo attacco di panico che una persona può sperimentare accada “a ciel sereno” e quindi in maniera del tutto inattesa, anche se spesso in realtà, in anamnesi si evidenziano indici di stressor pregressi di tipo prettamente psicologico, sociale e relazionale (lutto, violenza, abbandoni, perdita del lavoro, condizioni finanziarie precarie, relazioni disfunzionali familiari, con il partner ecc.).
Con lo stress, infatti, oltre alle dinamiche psicologiche che intercorrono, il nostro corpo tende a far fronte alle richieste interne e ambientali secondo un principio omeostatico e questo lo notiamo in ultimo attraverso un’alterazione del respiro. Potrebbe spiegarsi in questo senso il motivo per cui il primo episodio di panico sembra accada senza alcun motivo evidente nell’attimo in cui si superino alcuni valori soglia, lo studio del falso allarme di Donald Klein (cit. in Disturbo di Panico: dalla Respirazione al cervello omeostatico) ne spiega le dinamiche.

La differenza della percezione individuale e le caratteristiche psicologiche di quella persona poi in quel momento fanno il resto e ne determinino gli sviluppi successivi, attraverso schemi e ristrutturazioni cognitive errate (à inserire le teorie di riferimento). Per questo motivo sono messe a confronto due situazioni particolari che richiamano un collegamento con quanto appena esposto, correlate alle due variabili ansia e iperventilazione, in base alle quali sembra sia maggiormente probabile l’insorgere di un attacco di panico. Gli eventi presi in esame si verificano uno in alta quota, l’altro durante le alte temperature estive (con maggior frequenza in città, dove lo smog incide significativamente in maniera ulteriore).

Già dalle quote medie, in montagna, in un soggetto sano si evidenziano fenomeni di adattamento dovute alle diverse caratteristiche fisiche come la diminuzione della pressione atmosferica (con relativa diminuzione di gas vitali all’organismo).  Ne consegue uno sforzo maggiore per ogni attività che egli voglia intraprendere. L’atto respiratorio è incrementato già a riposo per il solo sforzo che l’organismo compie per adattarsi in quota e questo vale in maniera amplificata se si aggiungono sforzi man mano di entità maggiori.   I meccanismi che l’organismo mette in atto in questi casi causano iperventilazione, aumento della pressione arteriosa e tachicardia. Si pensi quindi da un lato la predisposizione a una crisi di panico in alta quota e dall’altro la fatica immane per l’organismo e per la psiche stessa rispetto a quanto già avvenga ad altitudini modeste.

La cosa che viene naturale pensare è che se per tutti valgono più o meno i stessi principi situazionali (in questo caso l’abbassamento della pressione atmosferica e le altre condizioni climatiche) non tutti però hanno stesse soglie di reazione ed è qui che giocano un ruolo la percezione soggettiva, le condizioni mediche, costituzionali e psicologiche soggettive.  Si deduce che si può avere una diversa risposta avanti allo stesso fenomeno e che un attacco di panico potrebbe scaturire come non scaturire.

Ma è pur vero che se da un lato l’iperventilazione può determinare malessere e angoscia e innescare un attacco di panico, allo stesso modo un attacco di panico peggiora di gran lunga l’attività respiratoria, fino a livelli in cui, alimentandosi a vicenda, il ph del sangue subisce variazioni tali da indurre ad alcalosi respiratoria. Quest’ultima infine potrebbe poi giocare un ruolo importante, considerati i sintomi, nel condizionamento della paura che se non rielaborata in maniera funzionale può far si che il soggetto possa sviluppare successivamente disturbi di rilevanza clinica (dp, agorafobia, ipocondria, fobie semplici ecc)


Il fatto che ad altitudini elevate si possa intercorrere in un attacco di panico potrebbe esser dedotto dal fatto che molte persone che non hanno tra l’altro mai avuto episodi di attacchi di panico improvvisamente ad alta quota si sentono male. Questo fenomeno sembra ricordare seppur in ambiente diverso un meccanismo simile che accade ad esempio con maggior probabilità nelle grandi città, in estate, con alti tassi di smog, umidità e temperature elevate quando le persone di solito espediscono il loro primo attacco di panico.

In questi due casi il comune denominatore che fa “scattare” la risposta sembrerebbe in ultima analisi prettamente fisiologica, seppur mediata e alimentata anche dalla componente interpretativa del soggetto in quel momento attento alle variazioni fisiologiche dove ognuno è più o meno sensibile a determinate soglie. Il respiro (seppur in maniera inconsapevole) sembrerebbe determinare con buona probabilità lo scatenamento di un attacco di panico sia in caso di afa e umidità in città, sia in alta quota dove la pressione atmosferica, l’umidità e le temperature diminuiscono. Due fenomeni se vogliamo diversi e anche a tratti opposti ma accomunati da uno squilibrio respiratorio portano a reazioni simili.

A questo riguardo infatti già tempo fa son stati evidenziati studi che dimostravano una sensiblità particolare all’inalazione di aumentate concentrazione di anidride carbonica allo sviluppo di una crisi di panico ma che poi son state contraddette attraverso studi che dimostravano che in realtà non vi fosse collegamento tra inalazione di Co2 e crisi di panico con persone con DP o meglio che “nessuna differenza significativa nella chemosensibilità o nella soglia chemocettiva è stata trovata rispetto ai soggetti sani”. Inoltre hanno concluso che “se esiste un falso allarme di soffocamento potrebbe essere innescato da meccanismi diverso rispetto alle vie della chemosensibilità” (Katzman et co. cit. in Disturbo di Panico: dalla respirazione al cervello omeostatico).

A rinforzare questa teoria ci son anche studi di imaging morfologico con risonanza magnetica che non dimostrano anomalie cerebrali morfologiche o morfometriche nelle persone con DP (Drevets e Charney cit. in Meldolesi) ma che ci sia invece una correlazione tra attacco di panico e vasocostrizione a livello cerebrale indotti dall’iperventilazione o dall’ipocapnia (Sadock cit. in Meldolesi)Da quanto analizzato quindi si deduce una certa controversia rispetto a studi che indicano correlazioni positive tra attacco di panico e maggiore Co2 inalata e al contrario studi che indicano relazioni tra attacco di panico e minore afflusso di Co2.

Alla luce di quanto esposto quindi

  • Diversi studi ipotizzano e dimostrano una correlazione positiva tra l’insorgenza di un attacco di panico e un’alterazione dell’attività respiratoria, seppur controversi

  • Ci sono situazioni specifiche come quella in alta quota e quella estiva che sembrano predisporre a condizioni che inducono con maggior probabilità a un attacco di panico e a crisi ventilatorie

  • L’attacco di panico con sindrome di iperventilazione associata, procura una sintomatologia importante rispetto al solo attacco di panico, la quale tendendo ad essere autoalimentata a vicenda dalle due crisi, induce comprensibilmente a un trauma maggiore e quindi a un apprendimento condizionato della paura e in condotte di evitamento.

Per tutti questi motivi si intuisce che il dialogo interdisciplinare è fondamentale e necessario per una corretta individuazione del problema innanzitutto e non per ultimo per apportare miglioramenti nella prassi clinica per quanto riguardano le offerte terapeutiche
indirizzate alla persona colpita. Non va confusa però l’eziologia ad esempio di un singolo attacco di panico con quella degli eventuali sviluppi successivi in disturbi ansiosi seppure da un lato lo studio dei fattori che incidono in un attacco di panico con base fisiologica può spiegare meccanismi utili alla comprensione per lo sviluppo di nuove tecniche e metodologie di aiuto durante una crisi ma altrettanto importanti e
purtroppo spesso sottovalutate sono le azioni dirette alla prevenzione e l’accessibilità al sostegno psicoeducativo che possono fare la differenza in caso di trauma come spesso accade ad esempio durante il primo attacco di panico.

Uno stesso sintomo può avvenire secondo modalità e cause differenti e sviluppare problematiche successive anche indipendenti dalla sua modalità di insorgenza. Per questo è molto importante che la persona possa essere in condizione di comprendere il suo disagio sin dal primo sintomo (che spesso la porta a rivolgersi con urgenza in strutture di primo soccorso) e contestualizzato alla luce della specifica situazione in chiave psicologica, onde evitare l’instaurarsi della paura della paura.

Non sarà un caso in questo senso che studi confermano nella terapia cognitivo comportamentale la terapia di elezione per un disturbo d’ansia. Sembrerebbe che la terapia in questione inoltre faccia la differenza sostanziale rispetto a una terapia integrata o peggio rispetto a una terapia esclusivamente farmacologica, anche e soprattutto nella remissione del disturbo a lungo termine.
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Bibliografia

-    Disturbo di Panico: dalla Respirazione al Cervello Omeostatico in Bollettino di aggiornamento in neuropsicofarmacologia. Centro di studio e ricerca di neurofarmacologia Università   degli studi di Milano,  n. 90, 2004
-     Evidenze scientifiche sull’efficacia della terapia cognitiva comportamentale su www.spazio-psicologia.com , Laura Duranti
-     High altitudes anxiety and Panic attacks: is there a relationship?  in Depression and Anxiety the official journal of ADAA vol. 16 pagg 51-58, 2002
-     Liberi dal panico con la terapia cognitiva comportamentale di terza generazione, Pietro Spagnolo, Ecomind, 2001
-     Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali
-      Panico, ossessioni e fobie: psicobiologia dell’ansia. Dalle origini dei comportamenti alle rapporti familiari, Giulio Nicolò Meldolesi, FrancoAngeli editore, 2012
-     Perché in estate aumentano le problematiche legate agli attacchi di panico e all’ansia? Quali rimedi? su www.attacchidipanico-ansia.it, Gaspare Costa

Fatma Yümlü, dott.ssa in scienze e tecniche psicologiche, ha conseguito il baccalaureato in psicologia presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma nel luglio del 2010 (Bsc).Durante il percorso accademico ha acquisito le conoscenze fondamentali delle scienze psicologiche sia  teoriche che applicative. Attualmente vive in Svizzera  dove studia per conseguire il  Master  (Msc) in psicologia.
 
Dr Gaspare Costa iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Toscana n° 5040 - P.Iva 0120695045 Tutti i diritti riservati - prima dell'utilizzo del sito leggere le avvertenze in note legali e privacy
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